Digital workplace

Spazi aperti, tecnologia e formazione: lo Smart Working secondo Poly

Fare Smart Working significa creare le condizioni perché ognuno possa operare al meglio ovunque si trovi. È così che le sale riunioni diventano più piccole e informali, gli uffici convertiti in open space e che compaiono tra le dotazioni ai dipendenti cuffie con soppressione dei rumori, telefoni che permettono di conversare a decine di metri di distanza dalla scrivania e soluzioni per videoconferenze immersive

Pubblicato il 08 Gen 2020

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La flessibilità è importante ma non basta. Questo è il fil rouge della discussione sullo Smart Working sviluppatasi attorno alla presentazione dei risultati dell’ultima ricerca degli Osservatori del Politecnico di Milano, ed è anche la convinzione di chi questa nuova modalità di lavoro la sperimenta ogni giorno. Perché Smart Working oggi si identifica solo in parte con la possibilità di lavorare talvolta da casa, ma significa anche creare le condizioni – umane, tecniche, ambientali – perché ognuno possa operare al meglio dovunque si trovi, in ufficio o in viaggio oppure seduto alla scrivania di casa. Com’è accaduto 10 anni fa per noi di Poly (la società di comunicazioni globale nata dall’unione di Plantronics e Polycom): dopo alcune analisi sulle funzioni aziendali e sulle loro interazioni, ci siamo resi conto che, con gli strumenti giusti, certe dinamiche avrebbero potuto smettere di essere fisiche.

La consapevolezza di poter lavorare da qualsiasi parte del mondo e in qualsiasi momento ha fatto sì che anche i nostri uffici subissero dei cambiamenti, con grandi sale riunioni sostituite da salette più piccole e informali, mentre i singoli uffici di Poly sono stati convertiti in open space e nel caso di chiamate e videoconferenze sono state create zone per garantire privacy e silenzio, le cosiddette “huddle room”. Creare “apertura” e flessibilità delle zone di lavoro è però solo il primo passo, a cui deve infatti necessariamente seguire un’adeguata dotazione di strumenti tecnologici che consentano di sfruttarne i vantaggi senza subirne i possibili effetti negativi.

Come emerge da una recente ricerca Poly, infatti, gli open space piacciono certamente di più ai giovani – 55% degli appartenenti alla Generazione Z e 56% dei Millennial – con un calo al 47% nella Generazione X e al 38% nei Baby Boomer, ma il fastidio causato da chiacchiere, telefonate dei colleghi e rumori di fondo è segnalato dagli intervistati a prescindere dall’età (per il 55% il rumore fa perdere la concentrazione più volte nel corso della giornata in ufficio). Per questo, device come cuffie con soppressione dei rumori, telefoni che mediante connessioni wireless permettono di conversare liberamente a decine di metri di distanza dalla propria scrivania e soluzioni per videoconferenze immersive non sono semplici gadget, ma strumenti che rendono più produttivo – e più soddisfacente – il lavoro in ufficio. Ugualmente chi opera in mobilità deve essere dotato di quanto necessario perché lavorare nella sala d’aspetto di un aeroporto sia lo stesso che farlo dall’open space in azienda o dal proprio salotto.

E qui si inserisce la terza componente fondamentale per uno Smart Working di successo: l’investimento da fare in termini di formazione.  Un investimento sulla fiducia che, prescindendo dall’obbligo della presenza fissa, si basi sulla condivisione di scopi e modalità perché si sia concentrati qui e ora. Una visione condivisa per cui il poter lavorare ovunque e in qualsiasi momento è ben lungi dal “lavorare continuamente” – il famoso fenomeno del “workaholic” – ma significa adottare una metodologia di workflow più sana, fatta di pause, attività fisica e vita privata, grazie ad esempio al recupero del tanto tempo perso in spostamenti o necessità di recarsi in luoghi adeguatamente connessi.

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