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Professionisti e Smart Working, “vince” chi è più organizzato

Dall’analisi condotta dall’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Polimi emerge che gli studi più grandi e organizzati hanno saputo rispondere meglio all’emergenza Covid-19. I micro, piccoli e medi studi tengono il passo dei grandi solo per quanto riguarda l’orario di lavoro flessibile e la possibilità di lavorare da casa

Pubblicato il 22 Giu 2020

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Non solo aziende di grandi e medie dimensioni, con decine o addirittura centinaia di dipendenti. La quarantena ha avuto un impatto anche sull’organizzazione del lavoro anche degli studi professionali e dei professionisti in generale, costretti a chiudere gli uffici e dare avvio a progetti di Smart Working spesso e volentieri in maniera del tutto imprevista.

Per valutare come l’emergenza sanitaria abbia inciso sull’organizzazione degli studi professionali, indipendentemente dalla loro dimensione, l’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano ha realizzato una ricerca sul tema, coinvolgendo un campione di oltre 3.300 studi professionali multidisciplinari, legali, commercialisti e consulenti del lavoro, di grandi (oltre 30 persone), medie (da 10 a 30 persone), piccole (da 3 a 9 persone) e micro (meno di 3 persone) dimensioni

E, come ci si poteva aspettare, a uscirne in maniera migliore sono stati gli studi professionali che avevano già attivato progetti di lavoro a distanza, capaci di reagire in maniera più veloce allo “stato di emergenza”. Ciò gli ha garantito un vantaggio competitivo sulla concorrenza, essendo riusciti a trovare più in fretta nuove modalità per interagire con i clienti, anche a distanza.

I professionisti alla prova dello Smart Working

Come accennato, dall’analisi effettuata dall’Osservatorio del Politecnico di Milano emerge una realtà estremamente polarizzata. Da un lato troviamo chi, con maggiori risorse umane ed economiche, era di fatto già pronto all’emergenza, con progettualità già avviate da tempo e basate su prassi consolidate; dall’altro, invece, studi meno strutturati e con meno risorse da investire hanno dovuto fronteggiare come meglio potevano una situazione del tutto inattesa.

«I grandi studi – sottolinea Claudio Rorato, Responsabile scientifico dell’Osservatorio – sono molto attrezzati anche in termini di tecnologie per lavorare in mobilità (88%), flessibilità di luogo di lavoro (il 97% permette di lavorare da casa, il 69% da altri luoghi), organizzazione del lavoro per obiettivi (69%) e ripensamento degli spazi (44%)». Situazione diametralmente opposta, invece, per i piccoli studi che, in una situazione emergenziale e imprevista come quella che si sta vivendo, hanno mostrato maggiori difficoltà perché più arretrate nell’adozione di prassi lavorative e strumenti in grado di garantire maggiore flessibilità.

A mancare, nelle realtà più piccole, sono progetti strutturati che hanno invece consentito alle realtà medie e grandi di garantire ai propri associati (ma non ai dipendenti) politiche di lavoro agile più avanzate. I “micro, piccoli e medi studi – si legge nel report – tengono il passo dei grandi solo per quanto riguarda l’orario di lavoro flessibile (tutti oltre l’80%) e la possibilità di lavorare da casa (dal 70% delle micro realtà all’85% delle medie), mentre perdono terreno sul fronte delle tecnologie per lavorare in mobilità (le offre solo il 46% dei micro studi e il 66% dei piccoli, contro il 77% dei medi e l’88% dei grandi) e meno di un terzo prevede obiettivi formalmente assegnati e ripensa gli spazi di lavoro (32% dei piccoli, 28% dei medi e 21% dei micro)”.

Le categorie di professionisti più coinvolte nel lavoro agile

Nell’analisi condotta dall’Osservatorio sono emerse anche quali categorie di professionisti e studi professionali hanno fatto segnare le “migliori performance” sul fronte dello Smart Working.

Gli studi multidisciplinari sono quelli più avanzati, con progetti di lavoro agile già strutturati e avviati per il 37% del campione. Troviamo poi gli studi di avvocati, con smart working molto diffuso ma non ampiamente strutturato (progetti di questo genere sono presenti solo nel 20% del campione). Al terzo e ultimo gradino del podio troviamo commercialisti e consulenti del lavoro (con progetti di smart working avviati in un terzo circa del campione analizzato).

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