Guide e how-to

Dal Remote Working allo Smart Working: così il lavoro si mette al passo con l’era digitale

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un’impennata del numero di persone che si sono trovate a lavorare da remoto. Ma che cosa si intende davvero con il termine Remote Working? Che cosa lo differenzia dallo Smart Working e dal Telelavoro? Quali sono le tecnologie a supporto? Facciamo chiarezza

Pubblicato il 07 Set 2022

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Smart Working è l’inglesismo usato in Italia (coniato dai ricercatori del Politecnico di Milano) per intendere il lavoro agile, distribuito in modo flessibile, senza rigidità d’orario. Un modo di lavorare che allarga i suoi confini, tra sale riunioni, ufficio, casa e postazioni esterne anche provvisorie – come un bar – a discrezione del dipendente, purché sia garantita la sicurezza della persona e la riservatezza dei dati.

Nei paesi anglosassoni questo concetto di lavoro agile si esprime più genericamente con “Remote Working”, ossia l’attività lavorativa svolta fuori ufficio, che sia in maniera stabile, a intervalli regolari o saltuaria. Questa modalità in Italia è regolata dalla legge 81/2017, che fornisce una cornice giuridica al lavoro agile, o Smart Working, come modalità di esecuzione di un rapporto di lavoro subordinato mediante accordo tra le parti, senza precisi vincoli spazio-temporali di esecuzione delle mansioni, con l’utilizzo di strumenti tecnologici a supporto di questa flessibilità e secondo una organizzazione del lavoro per obiettivi e responsabilizzazione.

La prestazione può essere quindi organizzata per fasi, cicli e obiettivi, svincolandosi, almeno in parte, dal fattore tempo e, al contrario, tarandosi sul parametro del risultato. Resta il vincolo delle ore complessive giornaliere e settimanali retribuite come da contratto collettivo nazionale, anche se gestibili in modo flessibile, e sempre a patto di una comunicazione e condivisione con il proprio responsabile.

In sostanza, lo Smart Working in Italia presuppone una riorganizzazione del lavoro e degli spazi lavorativi in direzione smart, con un bilanciamento variabile da azienda ad azienda tra giornate trascorse in ufficio e giornate in “remoto”.

Remote Working: cosa si intende?

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un’impennata del numero di persone che si sono trovate a lavorare da casa, collegate ai sistemi aziendali spesso con dispositivi personali (da 500mila a 6 milioni in dieci giorni). Di Remote Working si è dunque parlato moltissimo e spesso il termine è stato usato come sinonimo di Smart Working, telelavoro e home working ma, come vedremo, non sono definizioni del tutto assimilabili tra loro.

Remote Working, infatti, è un concetto generico di lavoro da remoto che non presuppone per forza una regolamentazione come quella italiana. È un’attività lavorativa svolta fuori dall’ufficio senza che sia stabilito a priori il come, dove, quando e quanto. Può infatti avvenire in mobilità, senza vincolo di postazione fissa (a casa, ma anche al bar, dal parrucchiere, in una sala d’aspetto), oppure con postazione fissa come nel classico telelavoro. Il concetto di Remote Working non include neppure, a priori, una preferenza tra orari rigidi o flessibili. In pratica, lo Smart Working italiano come progettualità di riorganizzazione del lavoro in forma flessibile e regolata da obiettivi si può considerare un’applicazione specifica del più generico Remote Working o, da un’altra prospettiva, il Remote Working può essere visto come la modalità pratica dello Smart Working, senza tutte le sue specifiche organizzative.

Per esempio un dirigente, non avendo obblighi di presenza né di orario da contrattazione nazionale, fa Remote Working quando decide di lavorare fuori ufficio per conciliare un impegno personale, o per concentrarsi meglio su un documento da completare, senza vincoli né accordi di sorta.

Non è telelavoro

A sua volta il telelavoro (telework) è un istituto giuridico del 2004 che ha recepito un accordo quadro europeo del 2002 e che prevede l’allestimento di postazioni fisse a domicilio, secondo tutte le normative sulla salute e sicurezza, dove il dipendente che lo richiede può espletare le medesime funzioni dell’ufficio, con i medesimi strumenti e negli stessi intervalli di tempo.

Questa soluzione rigida e normata non è mai decollata in Italia negli anni successivi: non risultava soddisfacente né per i datori di lavoro che dovevano sostenere costi aggiuntivi, né per i dipendenti che finivano per vivere un senso di isolamento, oltre a dover dedicare uno spazio fisso in casa alla postazione di lavoro.

Possiamo dire che il telelavoro sia stato un’applicazione specifica di un più generico remote working, tentativo ancora legato a schemi lavorativi che già iniziavano a essere superati da un nuovo concetto di organizzazione del lavoro più aderente ai profondi cambiamenti dei mercati, dei sistemi di produzione e distribuzione e delle organizzazioni globali.

Lo Smart Working è diverso

La proposta di legge sullo Smart Working depositata nel 2014 a firma, tra le altre, delle deputate Alessia Mosca, Barbara Saltamartini e Irene Tinagli ha rappresentato un passo fondamentale proprio verso concetti di autonomia, responsabilità, agilità e flessibilità organizzativa, pur all’interno di rapporti subordinati, tradotta in legge nel maggio 2017. Lo Smart Working è dunque un vero e proprio paradigma, adatto ai tempi che cambiano, di un più generico Remote Working. Si è rivelato particolarmente utile, pur in una versione estrema di 5 giorni su 5 da casa, in questi mesi di pandemia, grazie al supporto delle tecnologie digitali velocemente implementabili – pur considerando tutti i limiti di un’adozione estesa repentina e non sempre accompagnata da una cultura manageriale adeguata.

Da citare anche l’home working: è una definizione ancora più circoscritta del Remote Working, circoscritta al solo lavoro da casa, senza comprendere altre specifiche particolari.

Remote working, le tecnologie per il lavoro agile

In linea generale, i dispositivi mobili dotati di connessione e collegati alla rete aziendale permettono di lavorare fuori ufficio, che sia genericamente Remote Working e, più nello specifico, Smart Working o home working.

Mai come in questo periodo di emergenza sanitaria le più recenti soluzioni digitali si sono dimostrate validi aiuti per assicurare continuità operativa e didattica nelle aziende anche con il lavoro svolto a casa. Piattaforme digitali con software di Unified Communication & Collaboration favoriscono attività collaborative a distanza, tramite chat, messaggi multimediali, videochiamate, audio-conference e collaboration. Queste modalità erano già adottate in molte grandi aziende “in presenza” in ufficio o per team diffusi sul territorio al fine di condividere progetti e documenti.

Le App per l’apprendimento consentono anche tutta un’attività di e-learning personalizzabile e a portata di mano sui propri device, all’ora che si vuole, senza la necessità di una postazione fissa. Oltre all’autoapprendimento reso possibile dalle app sui dispositivi mobili, oggi vengono sempre più organizzate aule sincrone su piattaforma, con tutta una serie di soluzioni per favorire la partecipazione e l’attenzione anche se si è in aula da dietro uno schermo: sistemi di votazione, con restituzione in tempo reale di grafici riepilogativi, lavagne condivisibili, room per lavori di gruppo.

Per tutelare la sicurezza dei dati e la protezione dagli attacchi informatici oggi è anche possibile virtualizzare i desktop (Virtual desktop Infrastructure – VDI), grazie a cui i dipendenti via web, con le proprie credenziali e i propri dispositivi, possono accedere da remoto al proprio ambiente di lavoro (procedure e banche dati) come se fossero in ufficio, garantendo la massima sicurezza e consentendo interventi di assistenza da remoto.

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