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Social recruiting: ecco come aziende e candidati possono evitare le “trappole” della comunicazione online

Le tecnologie digitali stanno cambiando radicalmente il mondo del lavoro, modificando i compiti dell’HR e permettendo una comunicazione sempre “on” tra azienda e candidato. Per brand e persone di talento si moltiplicano le opportunità ma anche le sfide. L’intervista a Silvia Zanella, manager, esperta di futuro del lavoro e autrice

Pubblicato il 31 Gen 2020

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Oggi il social recruiting è uno dei temi “caldi” con cui sempre più di frequente le funzioni HR si stanno confrontando. La digital transformation ha impattato fortemente il mondo del lavoro grazie alla comunicazione senza sosta che si instaura tra aziende e candidati. I canali online – tra cui i social media hanno un peso molto rilevante – permettono a brand e persone di talento di restare sempre in contatto e l’incontro tra domanda e offerta di ruoli professionali diventa più efficiente. Il social recruiting è una grande opportunità sia per il datore di lavoro che per il lavoratore che richiede tuttavia un forte cambio culturale per i dipartimenti HR e una notevole dose di attenzione da parte dei candidati. Ne abbiamo parlato con Silvia Zanella, Manager, esperta di futuro del lavoro, autrice di libri come “Digital Recruiter”, “Personal branding per l’azienda” e “Guida al lavoro”.

Nell’era del Lavoro 4.0 come cambiano, in concreto, i compiti delle Risorse Umane?

La funzione HR è interamente trasformata dalla digitalizzazione, ma direi che la novità principale è che ora il compito numero uno è saper valutare in modo veloce il parco delle competenze esistenti in azienda e le eventuali carenze, per garantire l’aggiornamento con programmi di reskilling e upskilling o portare a bordo nuovi talenti.

Di qui la necessità di un cambiamento culturale nella funzione HR…

Bisogna ribaltare il modo di pensare adottato finora. Il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore non è più dominato dall’azienda che assume, ma dal candidato. I candidati hanno le leve del potere, soprattutto se sono talenti top altamente richiesti che possono scegliere tra più opzioni, e vanno messi al centro dell’attenzione.

Come modificare in modo efficace il modo di operare?

I dipartimenti HR devono imparare ad avvalersi delle competenze di altri dipartimenti, come marketing e comunicazione. La collaborazione è essenziale: i dipartimenti in silos non servono più a nessuno. Un altro elemento secondo me importante è che i valori aziendali vanno applicati non solo sui propri prodotti e servizi e non solo sui candidati da attrarre, ma anche sulle risorse esistenti. Senza fare nomi, pensiamo a un super brand del commercio online che ha una risonanza enorme come piattaforma per lo shopping ma che ha una fama poco lusinghiera quando si tratta delle condizioni di lavoro dei propri dipendenti. La coerenza dei valori è importante, su questo tutti i dipartimenti aziendali devono lavorare in sincrono. La comunicazione è una, non c’è più separazione tra comunicazione interna e esterna.

I social media sono sempre più utilizzati sia dalle aziende che dai candidati. Il social recruiting aiuta le imprese a trovare risorse? E aiuta le risorse a trovare il lavoro “ideale”?

Il social recruiting per me rende efficiente e democratizza il processo di incontro tra domanda e offerta di lavoro. La meritocrazia aumenta perché i canali online rendono più chiari i criteri di ricerca e selezione – sia da parte delle aziende che delle agenzie per il lavoro – e si favorisce la concorrenza. Anche la fuga dei cervelli all’estero può essere letta in questa chiave. La comunicazione digitale, unita alla globalizzazione e alla mobilità del lavoro, avvicina i candidati alle aziende ovunque queste si trovino. Oggi le risorse umane possono accedere a un bacino di offerta enorme, sapere quali sono le imprese potenzialmente interessate alle loro competenze. E viceversa, le imprese possono presentare la loro offerta a una platea globale. Con la concorrenza il mercato si apre e diventa più trasparente: l’incontro tra azienda e candidato ideale o tra candidato e “lavoro dei sogni” è facilitato. Per questo è così importante sia per le organizzazioni che per i professionisti promuovere il proprio brand.

Anche il candidato deve affrontare un cambiamento. Usare i canali online per promuovere la propria immagine e le proprie competenze richiede capacità e autenticità…

Molte persone non si rendono conto che la dimensione virtuale ha lo stesso peso di quella reale. I due canali sono solo modi diversi di esprimersi ma entrambi vengono osservati dai selezionatori per capire chi sei e come ti comporti. Il recruiter vuole vedere il candidato in azione e va a verificare sulle piattaforme social, mettendo a confronto quello che trova sui canali di Internet con quanto legge nel curriculum e le impressioni nell’eventuale colloquio vis a vis. I social media sono importanti nello sviluppo della carriera e sono un grande strumento di personal branding, ma bisogna essere consapevoli del fatto che sono delle vetrine aperte al pubblico.

La fuga dei cervelli è un tema particolarmente sentito in Italia: i giovani andati a lavorare all’estero sono 62.000 nel 2018, secondo dati del centro studi della Cgia di Mestre. Lei ha spesso sottolineato la necessità per le imprese di presentare alle persone di talento una proposta attrattiva sia in termini economici che di benefit. Il nostro paese sembra però in posizione di svantaggio rispetto ad altri

Il nodo secondo me è la libera circolazione delle risorse di talento. Se è veramente libera non ci sono posizioni di vantaggio o svantaggio pre-determinate. La circolazione globale dei cervelli è un valore aggiunto. Però io non credo che oggi ci sia veramente questa libera circolazione, nemmeno in ambito Ue, perché andare a studiare e/o lavorare all’estero dovrebbe essere agevole e fruttuoso esattamente come rientrare in Italia con le competenze acquisite nello studio e/o nel lavoro in un altro paese. Invece la competizione oggi non è alla pari e molti giovani non rientrano, privando l’Italia di conoscenze preziose. È ovvio che i lavoratori vanno là dove ottengono le occasioni migliori, ma qui non spetta solo alle aziende cambiare marcia nella loro comunicazione o nella loro proposta: anche la politica deve intervenire per aiutare le imprese nella loro operatività e i giovani nelle loro scelte.

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