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Soft skill: che cosa sono e perché sono diventate le vere protagoniste della digital transformation

Le chiamano abilità o competenze trasversali o, con la terminologia inglese, soft skill. Oggi contano più delle hard skill, legate ai titoli di studio. Vediamo di che cosa si tratta, perché le organizzazioni le ritengono più preziose delle competenze tecniche e come cambia il processo di recruiting

Pubblicato il 26 Gen 2022

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Le soft skill, nella nostra economia globalizzata e altamente competitiva, sono diventate una competenza fondamentale, un fattore cruciale di differenziazione e successo sia per le imprese sia per i candidati che si propongono sul mercato del lavoro. Capacità di ascoltare e comunicare, lavoro di squadra, flessibilità e leadership da sempre sono un requisito importante per chi partecipa al mondo del lavoro, ma lo sono ancor di più adesso all’interno dei nuovi modelli fortemente collaborativi. Le soft skill sono infatti oggi inserite quasi sempre dalle aziende negli annunci delle posizioni aperte e nel curriculum di chi cerca lavoro.

La digital transformation ha reso ancora più rilevante il ruolo delle soft skill. Come sottolinea lo studio IDC Perspective, l’attuazione dei progetti di trasformazione digitale di imprese e settori produttivi richiede molto più delle tecnologie. Le capacità di relazionarsi, negoziare, guidare e sponsorizzare il cambiamento sono ancora più cruciali, perché la trasformazione culturale è la base di quella digitale. IDC ha definito le soft skill gli eroi silenziosi della digital transformation.

«In ogni impresa, alcune competenze si manifestano in modo esplicito proprio come le caratteristiche genetiche perché il contesto, i processi, i clienti e il modo di lavorare lo richiedono – ricorda Laura Cavallaro, Associate Partner di P4I-Partners4Innovation -. Altre competenze, pur presenti tra le attitudini e le passioni dei collaboratori o magari sviluppate informalmente all’interno del proprio lavoro, non si manifestano e rimangono dormienti. Ciascuna impresa può provare a valorizzare le competenze nascoste e inespresse cercando i collaboratori che le posseggono o le hanno sviluppate personalmente. Nel contesto attuale, in cui le competenze digitali sono difficilmente reperibili sul mercato del lavoro e spesso molto costose, questo passaggio diviene spesso indispensabile: significa individuare i collaboratori che le posseggono e metterli in condizione di poterle esercitare nel contesto lavorativo».

Già a fine 2018 un’indagine condotta su scala globale da LinkedIn tra 5.000 professionisti delle risorse umane aveva fatto emergere le soft skill come la tendenza numero uno del mondo del lavoro dei successivi tre anni: era stata citata dal 91% del campione. L’80% aveva sottolineato che le soft skill sono essenziali per il successo di un’azienda, l’89% che le assunzioni più deludenti fatte dalle loro organizzazioni avevano un elemento ricorrente: la mancanza delle soft skill che servivano.

A seguire, il Cegos Observatory Barometer 2020 – la survey annuale realizzata dal Gruppo Cegos che aveva coinvolto 250 rispondenti tra i professionisti HR e 1780 dipendenti suddivisi fra Italia, Francia, Germania e Spagna – ha messo nero su bianco che poco meno di un terzo dei dipendenti oggi possiede le competenze necessarie per rispondere alle sfide aziendali. In particolare, il 43% dei responsabili HR ha indicato l’area delle soft skill come quella più critica, con uno scostamento significativo rispetto alla media europea (34%). Tra le competenze più urgenti da sviluppare emergono la capacità di adattamento (52% vs 42% EU), la comunicazione digitale (46% vs 51% EU) e il remote management (45% vs 46% EU). Queste ultime 3 competenze sono state confermate anche dall’edizione 2021 dell’Osservatorio, che però ha sottolineato che rispetto alle skill di cui i dipendenti affermano di essere in possesso ci sono alcune divergenze, per cui il Dipartimento HR dovrà compiere un grande lavoro se desidera che le proprie risorse siano un sostegno concreto per l’azienda. I 3 fattori chiave per incoraggiare e stimolare i lavoratori durante la formazione sono: l’accompagnamento di un tutor o di un trainer, il coinvolgimento del manager e la facilità di accesso ai contenuti formativi.

Come sottolinea Marco Planzi, Associate Partner di P4I, le soft skill hanno un peso anche quando si tratta di scegliere l’impresa in cui andare a lavorare: «Ogni anno il magazine americano Fortune pubblica un’interessante classifica sulle imprese più ammirate a livello globale. Raccolgono facili preferenze molte delle imprese che negli ultimi anni sono state protagoniste del cambiamento nei loro settori come Aphabet, Apple, Starbucks, Walt Disney, Microsoft ecc. L’aspetto interessante della classifica è connesso alle motivazioni per le quali vengono scelte determinate imprese. Vengono lasciate da parte la struttura organizzativa, l’efficienza dei processi, la solidità finanziaria e ci si concentra perlopiù sulle soft skill come, ad esempio, la capacità di innovare o di rispondere ai desideri dei consumatori. Le soft skill sono vere e proprie risorse intangibili: non si possono toccare, ma fanno la differenza quando un’impresa compete sul mercato e vengono riconosciute quando se ne valuta il valore».

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Quali sono le principali soft skill più richieste sul mercato

Le soft skill fanno riferimento a qualità personali e relazionali. Essere persone piene di energia e capaci di creare un’atmosfera piacevole e produttiva in ufficio è già una soft skill che le aziende apprezzano.  Per esempio comunicare efficacemente, esercitare la leadership, problem solving e visione strategica sono le soft skill che oggi si ricercano di più nei collaboratori, come riporta una recente ricerca di Performance Strategies che ha coinvolo 214 aziende B2B e B2C.

Ci sono tuttavia alcune macrocategorie di soft skill che vengono considerate essenziali dai datori di lavoro.

La prima è la comunicazione: saper parlare in modo chiaro (con colleghi, manager, soci, clienti, fornitori….), saper ascoltare, persuadere, interagire in modo fruttuoso, mostrare empatia rientrano in questa categoria, così come negoziare, presentare in pubblico, interpretare il linguaggio non verbale, scrivere bene o saper fare lo storytelling.

Seconda soft skill che le organizzazioni considerano cruciale è il pensiero critico. Le aziende cercano persone capaci di analizzare le situazioni, interpretarle e prendere decisioni sulla base dei dati a disposizione. La creatività, la propensione artistica, la capacità di osservazione, la curiosità e il desiderio di imparare sempre, la flessibilità, l’adattabilità, l’innovatività rientrano in questa categoria. Sono apprezzate le persone piene di risorse, che non si spaventano di fronte ai cambiamenti e sanno ideare soluzioni nuove ai problemi (“think outside the box”).

Terza soft skill chiave: la leadership. Serve a tutti, non solo ai manager, perché le aziende vogliono persone che sanno lavorare in autonomia e coordinarsi coi colleghi. In questa categoria rientrano soft skill come la capacità di risolvere conflitti interpersonali o dare stimolo o aiuto ai colleghi in difficoltà, prendere decisioni, delegare quando necessario. Per chi poi ha una posizione manageriale occorre sapere gestire i team e le riunioni, motivare le persone, fare attività di mentoring e coaching. Bisogna sapere curare e trattenere i talenti.

Altra sofk skill molto ricercata è l’atteggiamento positivo. Al lavoro servono persone amichevoli, desiderose di dare il massimo e che amano il loro lavoro. La buona educazione, la capacità di collaborare, l’entusiasmo, il buon umore, la pazienza, il rispetto, l’energia sono sempre apprezzate.

La capacità di lavorare in team è una soft skill che merita un capitolo a sé. Compare praticamente in ogni annuncio di lavoro. È naturale: le aziende cercano talenti in grado di collaborare con gli altri. In questa soft skill rientrano qualità come sapere accettare commenti e critiche, interfacciarsi con i clienti, affrontare situazioni difficili o stressanti. Occorre possedere intelligenza emotiva, essere aperti a ambienti di lavoro multiculturali, saper interagire con chi è diversamente abile o ha semplicemente un cattivo carattere. Networking, team building e resistenza allo stress sono parte di questa categoria.

Non manca tra le soft skill l’etica del lavoro. O, semplicemente, la professionalità. Le organizzazioni cercano persone che lavorano rispettando gli altri e le scadenze, con capacità di organizzazione e orientamento all’obiettivo, che sanno gestire il proprio tempo e essere multitasking se occorre, affidabili e puntuali.

soft skill

Soft skill per il 2022 che fanno la differenza

Se le soft skill appena evidenziate possono essere considerate evergreen, ovvero valide sempre e in ogni contesto, nel corso degli ultimi due anni i profondi mutamenti registrati all’interno del mondo del lavoro hanno fatto emergere l’esigenza di sviluppare alcune soft skill particolarmente adatte a rispondere ai nuovi contesti più fluidi, flessibili e digitali. Ecco dunque secondo Hays, la multinazionale nell’ambito delle Risorse Umane presente in 33 Paesi, quali sono le soft skill che oggi le organizzazioni richiedono maggiormente.

Skill comunicative e interpersonali. Le skill comunicative sono ricercate dalla maggior parte delle aziende poiché essenziali per gestire team di successo. Inoltre, con la diffusione del lavoro ibrido, dimostrare di essere capaci di adattare le proprie capacità di comunicazione a questo nuovo modo di lavorare diventa sempre più importante.

Capacità di accogliere il cambiamento. La pandemia ha di fatto accelerato le trasformazioni già in atto nel mondo del lavoro, una trasformazione che non può dirsi conclusa bensì in costante evoluzione. Per tale ragione le aziende sono alla ricerca di persone in grado di accogliere il cambiamento con entusiasmo e senza paura, disposti e capaci di adattarsi rapidamente a nuovi processi e modalità lavorative.

Problem-solving. Mai come in questi due anni la capacità di problem-solving è stata fondamentale per affrontare le grandi sfide nelle quali le aziende si sono ritrovate catapultate e guardare al futuro. Ecco perché questa soft skill diventa imprescindibile per le organizzazioni.

Flessibilità e adattabilità. In tempi caratterizzati da profondi e repentini cambiamenti, sia dal punto di vista organizzativo che degli strumenti adottati ora sempre più tecnologicamente avanzati, flessibilità e adattabilità risultano skill fondamentali da possedere.

Skill di gestione delle persone. La capacità di gestire le persone all’interno di un gruppo di lavoro più o meno articolato, oggi anche da remoto, è una skill “must-have” per ogni leader.

Le hard skill: non dimentichiamoci delle competenze tecniche

È chiaro che rientrano nella categoria delle soft skill le competenze che non si imparano sui libri. Quelle sono le hard skill, le competenze tecniche. Che restano importanti: non sono azzerate dalla valenza delle soft skill; le aziende continuano a guardare ai titoli di studio e alle precedenti esperienze professionali, se ci sono. Conta la conoscenza delle lingue straniere, sapere usare programmi informatici o specifici macchinari, avere una specializzazione o un master e aver fatto studi o attività di lavoro all’estero. Nell’era della globalizzazione e della digitalizzazione sono apprezzate anche le competenze multidisciplinari: pensiamo agli ingegneri che cercano lavoro nell’industria automobilistica dove i motori elettrici, i software per l’assistenza alla guida e le app mobili sul cruscotto stanno cambiando lo scenario. Conoscere solamente la meccanica non basta. Ma se alla multidisciplinarietà si aggiungono anche la capacità di ascolto e comunicazione, il problem solving, la creatività, la leadership e il team building, allora il curriculum è completo.

Cosa scrivere sulle soft skill nel CV

In uno studio del 2018 McKinsey ha scritto che nel mondo del lavoro dei prossimi 10 anni la domanda di soft skill crescerà del 24%. Con una richiesta così alta, evidenziare le attitudini trasversali nel curriculum vitae è imperativo per chi cerca lavoro. Secondo la multinazionale del recruiting Randstad, occorre fare attenzione alla forma e alla struttura con cui vengono descritte le soft skill nel CV: italiano corretto e impaginazione chiara e uniforme sono sinonimi di una persona affidabile e attenta al dettaglio. Utilizzare la forma attiva dei verbi per descrivere competenze e studi, trasmette la sensazione di una persona dinamica e di iniziativa. Un altro modo per far emergere le soft skill dal CV riguarda la trasformazione delle abilità trasversali in un discorso strutturato: per esempio, invece di scrivere che si possiedono ottime capacità di  gestione del team, si può raccontare un’esperienza lavorativa in cui questa attitudine è stata messa in risalto. Lo studio “World Economic Forum’s Future of Jobs Report 2018” ha evidenziato l’importanza delle soft skill in quanto permettono alle persone “di far leva sulle loro specifiche e uniche qualità personali e tratti caratteriali”.

Come cambia il recruiting

Lo stesso studio del WEF, tuttavia, sottolinea la difficoltà per le organizzazioni di individuare le soft skill in fase di assunzione, anche con un CV ben scritto. Solo la prova sul campo permette al datore di lavoro di verificare la presenza effettiva delle soft skill di cui hanno bisogno. Il 68% dei top manager HR sentiti nel citato sondaggio di LinkedIn riferisce che il mezzo principale con cui cerca di catturare le caratteristiche personali del candidato è cercando di interpretare le espressioni del volto, il linguaggio del corpo e il tono della voce durante il colloquio. Il portale del trovalavoro Monster.com consiglia ai recruiter di farsi una lista precisa della competenze trasversali di cui le loro organizzazioni hanno bisogno, di evidenziarle anche nelle campagne di employer branding e di sottolineare apertamente nei colloqui le situazioni più problematiche che il neoassunto si troverà ad affrontare, accanto ai benefici del nuovo lavoro. E poi andare a caccia attivamente di talenti con le soft skill necessarie guardando ai poli formativi.

Trovare le soft skill è molto più facile che formarle. Un recente sondaggio globale di IBM Institute for Business Value ha stimato che, per effetto della diffusione dell’automazione, più di 120 milioni di lavoratori nelle 12 maggiori economie mondiali avranno bisogno di reskilling nei prossimi tre anni. Le aziende si sono dette preoccupate per la carenza di talenti capaci di gestire le nuove applicazioni basate su intelligenza artificiale e machine learning, ma soprattutto per l’aggravarsi del gap sulle abilità trasversali, considerate ancora più cruciali per affrontare le sfide del lavoro nell’era dell’automazione. Nel sondaggio IBM le skills più ricercate in assoluto sono tutte soft: disponibilità ad essere flessibili, agilità e adattabilità al cambiamento, capacità di gestire il tempo e definire le priorità. IBM afferma che le aziende possono usare le stesse applicazioni di intelligenza artificiale e analisi dei dati per definire le proprie necessità di competenze e disegnare percorsi formativi personalizzati per i propri dipendenti, rinnovando tramite le tecnologie digitali la funzione HR.

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