Guide e How to

Cosa è il mentoring, perché farlo e i 5 step per iniziare

Un iter formativo basato sul dialogo, sulla fiducia e sul rispetto reciproco che coinvolge in egual misura giovani e manager che ne guidano e promuovono la crescita personale e professionale. Tra i vantaggi connessi al mentoring, alti livelli di engagement dei dipendenti, riduzione del digital gap e promozione del concetto di lifelong learning. Una guida per impostare un percorso, e far proprie anche le tecniche di reverse mentoring

Pubblicato il 18 Gen 2022

Laura Cavallaro

Partner, P4I - Partners4Innovation

Beatrice Medved

Consultant, P4I - Partners4Innovation

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Se prima della pandemia il mentoring, ovvero lo scambio tra manager e dipendenti e l’assimilazione delle tecniche lavorative e delle competenze trasversali, era un’attività quasi implicita sul luogo di lavoro, fatta di un mix di training on the job e passaggio di competenze formali, oggi purtroppo non è più così.

Se il lavoro in presenza consentiva di “vedere” e quasi “respirare” il modo di lavorare e la cultura di team e di avere confronti continui su moltissimi temi anche in situazioni e luoghi “informali” – come alla macchinetta del caffè o in un pranzo al bar –, il lavoro a distanza rende tutto questo molto più difficile, se non fatto in maniera concertata e consapevole.

Sono i più giovani a subire di più questa situazione, rischiando di sentirsi spaesati sul luogo di lavoro e sono loro a richiedere, anche in questa situazione, degli strumenti che permettano di crescere, essere motivati e allo stesso tempo essere considerati e compresi.

Si aspettano, in altre parole, che le organizzazioni siano “emotivamente intelligenti”: come far fronte a queste aspettative? Attivare dei percorsi di mentoring con i manager è un primo step per andare incontro alle loro esigenze ed evitare che l’insoddisfazione e le poche opportunità di crescita li spingano a dare le dimissioni.

Cosa è il mentoring?

Le origini della parola “mentore” risalgono all’antica Grecia e all’Odissea di Omero: quando Odisseo (o Ulisse) viene chiamato per la Guerra di Troia, decide di affidare l’educazione e la crescita del figlio Telemaco, oltre che alla moglie Penelope, anche all’amico fidato Mentore.

Da questa antichissima origine, poco dopo il 1750, l’Oxford English Dictionary include nella lingua inglese il termine “mentor” definendolo un “consigliere saggio e fidato che aiuta una persona con poca esperienza”.

Ed è proprio questo il primordiale significato del termine “mentoring”: un processo formativo nel quale una persona, appunto il mentore, aiuta, segue, guida e promuove lo sviluppo personale e professionale di un’altra persona, il Mentee.

La relazione tra Mentor e Mentee è di solito gerarchicamente subalterna, ma il rapporto che viene instaurato, perché il percorso funzioni, deve essere un rapporto cordiale di reciproca fiducia e sostegno al di là dei ruoli e delle gerarchie aziendali.

La metodologia formativa del mentoring, da definizione, si pone come obiettivo quello di combinare al tradizionale approccio formativo basato sulla trasmissione di nozioni teoriche o conoscenze, un approccio esperienziale, al fine di far sviluppare al mentee le abilità e la conoscenza dei comportamenti corretti da tenere, il tutto attraverso una condivisione di contenuti e riflessioni.

Negli ultimi anni, si è sempre di più fatto strada il concetto di “reverse mentoring”, considerato come uno scambio di insegnamenti, nozioni e competenze tra, da un lato, Millennials e Generazione Z e, dall’altro, figure Senior.

Quali vantaggi si ottengono con un programma di mentoring

Il mentoring, e soprattutto il reverse mentoring, può avere numerosi vantaggi all’interno dell’organizzazione, soprattutto se consideriamo il periodo attuale caratterizzato da grande incertezza in cui persone nuove entrano in azienda, facilitando la coesistenza di diverse generazioni sul posto di lavoro.

Remote working, lavoro ibrido, turni in ufficio e a casa, strumenti digitali, distanza fisica tra colleghi: tutti questi nuovi elementi possono essere alienanti se non gestiti nella maniera corretta, e potrebbe risultare sempre più difficile fare retention delle nuove risorse.
Il primo vantaggio di un programma di mentoring, quindi, potrebbe essere sicuramente quello di coinvolgere e tenere alto l’engagement dei dipendenti, sia per guidarli, sia per creare e mantenere delle relazioni umane significative con altre figure professionali.

Oltre a ciò, però, se si vuole andare più in profondità, il mentoring può essere lo strumento attraverso il quale:

  • da un lato i mentor crescono a livello manageriale e di leadership perché si trovano nella posizione di dover guidare e aiutare un mentee;
  • dall’altro lato i mentee crescono a livello professionale e riflettono sui propri obiettivi, sull’origine della motivazione, su paure professionali e sul percorso di crescita che vorrebbero intraprendere; ma non solo: imparano competenze trasversali come gestire un cliente, darsi delle priorità, usare la creatività per portare avanti un progetto, gestire la pressione e lo stress.

Quindi il reverse mentoring, anche in forma digitale, se ben implementato all’interno di un’organizzazione e considerato uno strumento fondamentale da tutti i manager (che si devono quindi autoimporre di rispettare appuntamenti e scadenze), può essere considerato lo strumento per:

  • gestire e trattenere i talenti;
  • superare digital gap;
  • sviluppare nuovi modelli di leadership;
  • diffondere il know-how interno all’organizzazione;
  • promuovere il concetto di lifelong learning e la cultura dell’apprendimento continuo.

I 5 step per impostare un percorso di mentoring

Definita l’importanza di un programma di reverse mentoring, è fondamentale capire quali sono gli step per impostarlo:

  1. Definire un timing preciso e rispettarlo: scegliere il tempo dedicato al mentoring e la periodicità degli incontri secondo le esigenze del mentee. Si tratta di uno spazio chiuso e riservato, dove mentor e mentee investono molto, e proprio per questo va sempre rispettato. Può essere molto utile bloccare in agenda già tutti i meeting.
  2. Definire insieme degli obiettivi: per iniziare un percorso di scambio e capire su cosa concentrarsi, potrebbe essere molto utile condividere obiettivi di breve e di lungo termine (alcuni obiettivi possono essere ad esempio di carattere esperienziale, organizzativo, metodologico e contenutistico a seconda delle esigenze del mentee).
  3. Gestire le aspettative e lasciare spazio alla bidirezionalità: il mentee deve avere uno spazio di fiducia in cui poter esprimere chiaramente cosa si aspetta dal mentor; il mentor, dal canto, suo deve creare uno spazio di apertura e di ascolto efficace per ricevere empaticamente le richieste del mentee.
    Ma non solo: il mentor deve richiedere espressamente feedback e lasciare che il mentee esprima le sue aspettative. Il mentoring diventa efficace quando assume la forma di un dialogo costante tra due persone.
  4. Definire output chiari e un’agenda precisa per ogni meeting: la mentorship non è solo il momento di incontro tra mentor e mentee, ma è soprattutto un percorso che entrambi fanno da soli per poi incontrarsi e confrontarsi.
    Darsi delle scadenze, dei compiti, delle riflessioni da affrontare da una volta all’altra può aiutare a stimolare il dialogo e ispirare nuove tematiche che potrebbero essere discusse.
  5. Preparare i giusti strumenti: un quaderno, un power point da completare volta per volta, un file, un’agenda. Sono diversi gli strumenti dedicati aiutano a preparare il setting e il giusto ambiente dove riflettere, scrivere e tracciare la crescita nel corso del tempo, anche in solitudine.
    Non solo consentono anche di stimolare la creatività nel momento in cui viene dato un compito.

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