People Strategy

Selezione del personale, puntare sulla candidate experience e sul digital recruitment

Se il processo di recruiting è vissuto come un’esperienza positiva si attiva un un circolo virtuoso di cui beneficiano l’attrattività dell’azienda e l’acquisizione dei talenti. «La tecnologia aiuta a migliorare il coinvolgimento del candidato e mette in evidenza le soft skills», sottolinea Andrea Pedrini, Country Manager italiano di Visiotalent, società che propone soluzioni di video-recruiting

Pubblicato il 16 Mar 2018

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Nel 2025 i Millennials e la Generazione Z costituiranno il 75% della forza lavoro. Questo vuol dire che è arrivato il momento per le aziende di rimettere in discussione le strategie di recruiting, focalizzandosi sulle rinnovate esigenze dei giovani che cercano lavoro e sulla candidate experience, facendo leva sul digitale.

Ne abbiamo parlato con Andrea Pedrini, Country Manager italiano di Visiotalent, start-up francese nata quattro anni fa e sbarcata in Italia lo scorso luglio, che offre soluzioni di video-recruitment e che ha fatto proprio della candidate experience il principale riferimento della strategia aziendale.

«Il futuro sarà agile, con cicli di vita del prodotto più brevi. Le aziende devono avere una visione ben precisa del People Plan per acquisire i migliori talenti e tenere monitorati i trend di un mercato che è in continuo fermento. Inoltre il web oggi è una fonte inesauribile di informazioni, che nel caso delle aziende diventano dei rating “indiretti” fondamentali per chi cerca lavoro. Le organizzazioni devono diventare attrattive sui social network, puntare sui dipendenti che sono i migliori ambassador (le referenze di un dipendente sono 3 volte più credibili rispetto quelle del CEO, ndr.), e rafforzare il ROR (Return on Relations): oggi il 79% dei candidati cerca lavoro online. Inoltre è necessario entrare nell’ottica del digital recruitment, che velocizza e rende più efficaci i processi, e coinvolge di più i candidati, mettendo in evidenza anche le competenze che difficilmente si riescono a evincere da un semplice cv, le cosiddette soft skills».

Tutto questo dimostra come la logica si sia ribaltata: non è più l’azienda a cercare e scegliere, sono i candidati a fare una selezione dei posti dove vorrebbero andare a lavorare, in base alle priorità e ai valori che ritengono fondamentali. «Secondo la ricerca Universum-Deloitte, per il 50% dei giovani che sono in cerca di lavoro avere spazio per la vita privata è più importante che avere uno stipendio alto, per il 66% è fondamentale il fine della posizione lavorativa. Guardando poi al processo di assunzione, per il 53% dei candidati è carente. I dati sono desolanti. Una grossa percentuale (75%) è talmente sfiduciata dopo un colloquio che non chiede un feedback, e il 91% ha un’esperienza online insoddisfacente, quando invece dovrebbe essere il punto di forza del processo di selezione, in quanto mezzo più funzionale e rapido. Ma il vero tema è che solo il 41% dei candidati riceve un feedback, a fronte di un 94% che lo vorrebbe. Si può investire in immagine e fare campagne di employer branding, ma le aziende devono entrare nell’ottica che è questo il vero biglietto da visita: essere capaci di far vivere un bel percorso al candidato a prescindere che sia selezionato, coinvolgendolo e dandogli un feedback, sia esso positivo o negativo, per aiutarlo a capire anche i punti di forza e di debolezza», continua Pedrini.

Un esempio negativo di Candidate Experience è, soprendentemente, Virgin. Ogni anno 123 mila candidati non superano le selezioni, di questi i clienti Virgin sono il 18% e il 6% cancella l’abbonamento a causa della gestione scorretta del processo di selezione: in cifre, tutto questo comporta 7.500 clienti e 5 milioni di euro persi.

«Ecco perché migliore è la Candidate Experience, migliore è l’Employer Branding. Questo è un po’ il nostro motto. Quando il candidato fa un buon percorso, a prescindere dal risultato, l’impatto sarà sempre positivo. Ma non è tutto: se da un lato è importante avere gli strumenti, dall’altro è fondamentale saperli usare. La tecnologia aiuta tantissimo, ma è compito dell’azienda trovare il modo giusto di coinvolgere il candidato, che se si convince che quella per lui è un’opportunità farà di tutto. Tutto questo si traduce in un patrimonio inestimabile per l’organizzazione in termini di informazioni raccolte, anche su competenze e valori».

Il processo deve essere anche semplice e veloce. Per questo oggi le aziende stanno prendendo in considerazione, e adottando, i sistemi di video-recruiting, che aiutano a valutare le soft skills. «In Francia il 35% dei candidati assunti con il processo on-demand non sarebbe stato altrimenti inserito. A mio avviso, questi strumenti non fanno la differenza per i primi 10 candidati in lista, ma la fanno per i 20 successivi. Stiamo andando verso uno scenario in cui la tecnologia supporterà sempre più anche il processo di scrematura dei cv: dove i numeri cominciano a essere significativi , è necessario trovare il modo di mandare avanti solo quelli per cui ne vale la pena. In tal senso la sfida è puntare sull’intelligenza artificiale e sulla semantica delle parole. Lato nostro stiamo cominciando a fare interessati sperimentazioni, che contiamo di mettere in produzione in tempi brevi», conclude Pedrini.

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