People Strategy

Pirelli, largo agli smart worker. I lavoratori agili sono più di 1000

Andare oltre il puro controllo della presenza e delle ore lavorate, puntare sul work life balance, lavorare in modo efficace: tutto questo vuol dire Smart Working per la nota società di pneumatici. Donatella De Vita, Responsabile del training e del welfare di Pirelli, racconta il progetto, con un accenno anche alla Digital Academy e al portale per la formazione

Pubblicato il 29 Gen 2018

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Lo Smart Working in Pirelli è partito e l’implementazione tecnologica per renderlo possibile è stata fatta. Anche la trasformazione organizzativa del modo di lavorare con questo nuovo strumento è cominciata, e coinvolge in prima battuta i responsabili delle varie funzioni e, in secondo luogo, l’impostazione del lavoro stesso, valutato non più sulla base della semplice esecuzione di compiti e sul numero di ore lavorate, bensì sulla creazione di valore e sugli obiettivi da raggiungere.

Dall’estate scorsa, 1.100 dipendenti in Italia sono abilitati a lavorare in modalità smart per massimo tre giorni al mese. Per ora è coinvolto solo l’Heaquarters di Milano, esclusi gli operai e alcune professionalità specifiche. L’adesione è stata quasi totale, del 90%, con una media di utilizzo reale di una volta al mese. Si è partiti con un progetto pilota a metà 2016 per 200 persone di quattro diverse funzioni ritenute nella loro varietà come rappresentative del campione (amministrazione, logistica, qualità e HR), a conclusione del quale lo Smart Working è stato esteso a tutti i dipendenti, con progressivi passaggi. L’introduzione del lavoro agile è stato accompagnato da attività specifiche di formazione per i futuri smart worker, così come per il management. Abbiamo intervistato Donatella De Vita, Responsabile del training e del welfare di Pirelli, sulle ragioni che hanno spinto la società ad adottare lo Smart Working e sul cambiamento organizzativo e culturale in corso.

Che cosa vi ha spinti ad adottare lo Smart Working?

Sono tre le ragioni principali. La prima è che crediamo che conti il valore che si genera con il lavoro, il cosa e il come, non il dove: stiamo cercando di andare oltre il puro controllo della presenza e delle ore lavorate. Siamo infatti convinti dell’utilità di questo strumento e tutta l’azienda sta cambiando progressivamente il modo di concepire questa modalità di lavoro innovativa. Non si cambia certo lo stile di leadership da un giorno all’altro, ci vuole tempo. Per questo, sono in corso azioni di formazione e coaching. La seconda ragione è quella di potenziare il work life balance, oltre ai servizi già previsti nel nostro piano welfare. La terza è di contribuire alla diminuzione delle emissioni di CO2, riducendo la quantità del tempo destinato al commuting dei nostri dipendenti.

L’introduzione è avvenuta per gradi, 150 persone alla volta delle varie funzioni. Quali criteri avete impostato per approcciarvi allo Smart Working?

Non abbiamo messo limiti alla scelta della giornata per essere coerenti con quanto sopra e ogni team si organizza da solo. All’inizio temevamo richieste in massa su giornate a ridosso del week-end, di festività e ferie, invece non è stato così, anzi le persone hanno dimostrato grande maturità professionale, scegliendo di lavorare, e molto bene, da casa distribuendosi in tutti i giorni della settimana. Si è scoperto che si può sfruttare meglio anche il tempo risparmiato per lo spostamento e il luogo più tranquillo che favorisce la concentrazione. Le persone, in sintesi, si sentono più responsabilizzate. Posso affermare che con lo Smart Working la produttività non ha avuto impatti negativi, anzi.

 È normale che l’utilizzo medio sia di una giornata al mese anziché delle tre consentite?

Dobbiamo ancora comprenderne le ragioni, ma bisogna tenere conto che questi sono processi che hanno bisogno di tempo e di aggiustamenti in corso d’opera. Siamo in un viaggio. L’utilizzo parziale può essere dovuto alla comodità dei documenti in ufficio, oppure alla ridotta confidenza con questo nuovo strumento. Bisogna anche abituarsi a usare i nuovi strumenti digitali, perché lo Smart Working funziona bene se si sfruttano tutte le tecnologie disponibili, che consentono di velocizzare e alleggerire il lavoro. E non tutti prima di iniziare avevano lo stesso livello di competenze digitali, le stanno invece acquisendo un po’ alla volta.

 Lo Smart Working è un acceleratore tecnologico?

Assolutamente sì, noi l’abbiamo sperimentato come divisione HR, che è stata fra le direzioni pilota del progetto. All’epoca, nessuno di noi utilizzava Skype for business pur avendolo a disposizione, poi abbiamo iniziato a usarlo per le video-telefonate, la messaggistica, lo scambio e la raccolta di documenti con i colleghi che si trovavano in Smart Working e ora, a distanza di pochi mesi, lo usiamo normalmente anche quando siamo in ufficio ed evitiamo inutili spostamenti da un edificio all’altro, ascensori, scale, velocizzando così i tempi di risposta e di decisione.

 Avete altri progetti di digitalizzazione in Pirelli?

Sì, certamente. Per favorire la digitalizzazione nel 2016 è stata istituita la Digital Academy, con lo scopo di generare consapevolezza e rafforzare la conoscenza in azienda delle tecnologie di base e delle nuove professioni e ruoli legati all’utilizzo dei Big Data. L’Academy, che fa capo al Chief Digital Officer, favorisce sia la diffusione delle competenze digitali all’interno dell’intera azienda, sia la formazione specifica di gruppi di lavoro cosiddetti “agili”, creati su progetti innovativi e interfunzionali. Le potenzialità offerte dal digitale hanno trasformato le nostre “agili” comunità di lavoro in veri e propri luoghi virtuali di lavoro: community di scambio di informazioni ed esperienze su progetti, come ad esempio la Manufacturing community che collega e fa dialogare fra loro 19 stabilimenti in giro per il mondo in tempo reale. La digitalizzazione ha trasformato queste community, le ha rese più forti e veloci nello scambio e comunicazione anche a distanza, rafforzando al tempo stesso il know-how aziendale, come forma condivisa di sapere. Il ruolo dell’HR è quello di favorirle, supportarle, organizzarle. Abbiamo un modello di partnership con il business da sempre, gli siamo di supporto.

 La digitalizzazione è anche a supporto della gestione HR?

Certamente, abbiamo introdotto qualche anno fa molti strumenti di formazione e sviluppo “web based”; tre anni fa un Job Posting globale, nel giugno 2017 un nuovo portale della formazione che ruota attorno all’individuo, con proposte formative ritagliate sulle sue esigenze, preferenze e attitudini, incrociate anche con le evidenze del Performance Management. Ci sono tante offerte formative anche innovative, “TED talk” preselezionati, newsletter e documenti esterni, oltre all’offerta formativa interna. L’impatto della digitalizzazione sulle risorse umane è anche questa personalizzazione della esperienza dell’apprendimento, con un collegamento sempre più stretto tra Performance Management e Learning. Ed è tutto in evoluzione, ora stiamo lavorando su un nuovo sistema di Performance Management ancora più in linea con le esigenze di flessibilità e velocità del business e sui cosiddetti “sistemi di business intelligence”. Per il 2018 la sfida sarà infatti di far parlare in modo predittivo i numeri sulle risorse umane per avere un supporto decisionale efficace e veloce.

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