Strategie

Sfide HR 2022: 5 trend che cambiano il modo di gestire le persone in azienda

Dall’engagement all’Employee Value Proposition, passando per le competenze digitali e i nuovi modelli di leadership. Con Emanuele Madini, Partner e Practice Leader dell’area “People & Innovation” di P4I – Partners4Innovation, abbiamo raccolto una serie di spunti utili per prepararsi al lavoro del futuro

Pubblicato il 13 Gen 2022

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Sono diverse le sfide che il mondo HR dovrà affrontare nel 2022. Non è certamente un segreto che il moderno ambiente di lavoro stia cambiando a un ritmo fulmineo. La pandemia ha fatto emergere nuove esigenze e attivato percorsi di trasformazione che prima in molti casi erano ancora allo stato embrionale. L’onere di implementare le nuove pratiche ricade sui leader delle risorse umane: si tratta di un percorso che non si è esaurito lo scorso anno, ma che anzi continua ad arricchirsi di nuove sfaccettature. Il 2021 è stato, per esempio, l’anno della Great Resignation, il fenomeno delle dimissioni di massa che prima è sfociato in estate negli Stati Uniti e che poi ha investito anche l’Europa e l’Italia. La diffusione dell’utilizzo del digitale nel “nuovo” modello di lavoro ha, inoltre, posto l’enfasi sull’urgenza di aggiornare le competenze delle persone e accentuato il già evidente skill gap che caratterizza la forza lavoro del nostro Paese. Non solo, ovviamente con l’avanzare di un nuovo modello sempre più ibrido, le direzioni HR devono attivare approcci e nuovi strumenti che consentano di alimentare quell’engagement che negli ultimi mesi ha un po’ vacillato e che richiede di ripensare l’Employee Experience. In quest’ottica, non solo la Direzione HR ha un ruolo centrale, ma lo hanno anche i leader che devono capire come guidare le persone nel cambiamento e come deve evolvere il modo di lavorare mettendole al centro e cercando di rispondere alle nuove esigenze che stanno nascendo. Da qui la necessità di ripensare i modelli di leadership e capire come si dovrà governare questa fase di cambiamento.

Di tutti questi aspetti abbiamo parlato con Emanuele Madini, Partner e Practice Leader dell’area “People & Innovation” di P4I – Partners4Innovation, che ci ha aiutato a inquadrare le 5 grandi sfide HR 2022.

Grandi dimissioni: la partita si gioca sull’engagement e sull’Employee Value Proposition

Negli Stati Uniti 4 milioni di persone hanno lasciato il proprio impiego nel mese di luglio, 4.3 milioni nel mese di agosto e 4.4 milioni a settembre. Nel Regno Unito la crisi del personale si sta aggravando: a ottobre 2021 un numero considerevole di imprese ha affermato che la mancanza di personale sta compromettendo la loro capacità di operare. E in Italia, secondo la nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel secondo trimestre del 2021 si sono registrate 2 milioni 587 mila cessazioni di contratti di lavoro, con un significativo incremento, pari al 43,7% (+786 mila unità), rispetto allo stesso trimestre del 2020.

«L’eccezionalità del fenomeno delle “Grandi dimissioni” dipende non soltanto dall’elevato numero di casi di dimissioni volontarie che si stanno verificando, ma anche dalla completa trasversalità rispetto ai settori industriali – sottolinea Madini -. Non vi sono ambiti lavorativi specifici che influenzano maggiormente le statistiche e sembra che ci siano alcune motivazioni ricorrenti alla base di questa discontinuità. In particolare, il lungo periodo di pandemia e di lavoro da remoto forzato ha provocato lentamente e in modo nascosto nelle persone una riduzione di engagement e senso di appartenenza all’azienda che si è manifestato improvvisamente nel momento in cui si è iniziato a intravvedere la luce in fondo al tunnel».

Quello che si sta riscontrando è che il distacco dei lavoratori non è mai stato così alto: in Italia appena il 7% si può definire pienamente ingaggiato, cioè legato all’azienda e attaccato al proprio lavoro, oltre che soddisfatto (Fonte: PoliMi).

Una delle sfide HR 2022 sarà quindi risolvere questo problema. «Molte aziende si stanno concentrando soprattutto sull’aumento della flessibilità, prevista dalle policy di Smart Working, fino ad arrivare a modelli estremi di “Work from anywhere”: questo per accontentare le più svariate esigenze delle persone e cercare di trattenere i migliori talenti o migliorare la propria attrattività sul mercato del lavoro – afferma il Manager -. Ritengo però che questo approccio sia estremamente superficiale rispetto alla complessità del problema. È molto importante invece porre le basi per rivedere o definire per la prima volta la propria Employee Value Proposition (EVP) alla luce del nuovo contesto e delle nuove aspirazioni delle persone che la pandemia ha completamente stravolto. L’EVP è l’esperienza di lavoro che un’azienda offre e ciò che la differenzia dalla concorrenza. Sicuramente il Work Environment, in termini di policy di Smart Working, spazi fisici e modelli di welfare, è una componente importantissima della EVP, ma deve essere accompagnata anche da altri aspetti altrettanto importanti che si rischia di trascurare, in particolare: la definizione e comunicazione del “purpose”, ovvero il valore autentico dell’azienda e il suo ruolo sociale, le politiche retributive e di total reward, i piani di sviluppo e carriera, la formalizzazione della cultura aziendale in chiave di valori e modelli di leadership. Solo affrontando in maniera sistematica e sinergica tutte le componenti della EVP sarà possibile affrontare l’era delle “Grandi dimissioni” come un ‘opportunità di arricchimento, piuttosto che un rischio di perdita di valore, individuando anche importanti interventi da mettere in atto in termini di People Strategy e HR Transformation».

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Competenze digitali: un patrimonio che deve essere “allenato”

L’Italia ha ancora un grave ritardo sulle competenze digitali (sia di base che avanzate), come sottolinea l’ultima rilevazione dell’indice Desi 2021: non solo si posiziona al terzultimo posto sul fronte delle digital skill, ma presenta anche una percentuale di specialisti ICT nettamente al di sotto della media europea (3,6 % vs 4,3 %).

Come ricorda Emanuele Madini, «l’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha sicuramente accelerato i processi di Digital Transformation. Da una parte, infatti, ha costretto le aziende ad aumentare e anticipare alcuni investimenti tecnologici per consentire la continuità del business e dare la possibilità alle persone di lavorare anche da remoto. Dall’altra ha permesso di potenziare in maniera massiva le competenze e attitudini digitali delle persone sia in ambito privato per usufruire di alcuni servizi in modo sicuro (es. ecommerce, delivery, ..), sia in ambito professionale dove abbiamo scoperto le potenzialità della virtual collaboration e, soprattutto, allenato la nostra capacità di apprendimento anche in modalità digitale. Le Direzioni HR si ritrovano oggi con un eccezionale bagaglio di esperienza digitale sviluppato dalle persone che non deve andare perso, ma anzi deve incentivare gli investimenti nella formazione delle competenze digitali».

Uno dei modi per superarla prevede l’utilizzo di nuovi format “blended” che permettano di migliorare l’efficacia formativa. È possibile, infatti, creare delle vere e proprie Digital Academy con percorsi formativi differenziati in base alla maturità digitale delle persone e con approcci di continuous learning basati su piattaforme come 360DigitalSkill sviluppata da P4i.

«Digital Academy che hanno un ruolo centrale anche quando si tratta di disegnare dei percorsi di reskilling, quanto più necessari oggi se si pensa alla profonda transizione che sta affrontando il mondo del lavoro, che ne sta profondamente cambiando le logiche e che vede la nascita ciclica di nuove professioni, che richiedono competenze specifiche. Alle aziende non basta più semplicemente investire nel cambiamento, oggi occorre più che mai focalizzarsi anche sulle competenze necessarie per soddisfare le richieste di business», continua Madini.

Organizzazione del lavoro: il punto di partenza è l’Employee Experience

Se è vero che nel 2020 i leader aziendali hanno riconosciuto che la digitalizzazione massiva ha portato benefici sia a livello di produttività sia in termini di efficienza – l’87% ha riscontrato una produttività pari o superiore a prima del lockdown (fonte Studio Boston Consulting Group e KRC Research) – lo è altrettanto il fatto che non ci si può fermare a un modello di organizzazione figlio di una situazione emergenziale, ma si deve ripensarlo e adattarlo alle nuove esigenze che stanno via via emergendo.

«La definizione di nuovi modelli di Smart Working non può essere ridotta soltanto a una ricerca di un giusto compromesso rispetto all’alternanza tra lavoro da remoto e in presenza, anche se purtroppo questo sembra essere il tema centrale del dibattito in questo momento – sottolinea Madini -. È ancora più importante rispetto a prima utilizzare le leve di progettazione dello Smart Working in maniera integrata, facendo evolvere l’organizzazione e i modelli lavorativi attraverso progetti più maturi, basati sul disegno e sullo sviluppo di nuove Employee Experience. Non è più sufficiente limitarsi a progettare le modalità di lavoro da remoto, ma serve dare ancora più rilevanza al lavoro in presenza, a nuove esperienze di utilizzo degli spazi fisici, valorizzando gli aspetti di socialità, senso di appartenenza e networking. Inoltre, le aziende devono avere la forza e il coraggio di spingere i nuovi progetti di Smart Working oltre alla semplice definizione di policy e alla valutazione di eleggibilità delle strutture organizzative. È giunto il momento di ingaggiare concretamente i team nel ridisegnare pratiche e processi in virtù di una nuova concezione di flessibilità lavorativa che liberi davvero le energie delle persone. Per questo motivo, le Direzioni HR devono essere in grado di fornire ai team strumenti e approcci per valutare sia le esigenze di organizzazione del lavoro peculiari del proprio ambito, sia le aspettative e le esigenze individuali delle persone con l’obiettivo di creare nuovi equilibri e modelli lavorativi che garantiscano produttività ed engagement delle persone».

Ripensare i modelli di Leadership per dare spazio all’ascolto delle persone

I modelli di leadership devono oggi evolversi e adattarsi al contesto che cambia. Come ha sottolineato l’Edelman Trust Barometer 2021, i leader delle organizzazioni hanno una grande responsabilità nei confronti delle persone, perché come ricorda Madini, «in un modello di lavoro ibrido si alza l’asticella della sfida per i Manager che hanno l’opportunità di creare le migliori condizioni per valorizzare al meglio le capacità delle proprie persone ma allo stesso tempo devono stare attenti a molte insidie che si nascondono dietro a questa nuova modalità lavorativa. Penso che per un Manager, il principale rischio sia quello di sacrificare eccessivamente i momenti di confronto, feedback e condivisione informale con le proprie persone, momenti che prima erano parte naturale dell’esperienza lavorativa in presenza senza neanche la necessità di doverli programmare. Per evitare che ciò accada, non basta soltanto sensibilizzare i Manager e formali rispetto a nuove pratiche manageriali, ma è necessario supportarli anche con nuovi strumenti che facilitino il loro ruolo, come per esempio tool di Continuous Feedback».

Un esempio è Feedback4you, un’app sviluppata da P4I, che ha l’obiettivo di innovare e semplificare il processo di valutazione delle performance del personale, consentendo ai manager di fornire valutazioni e indicazioni di miglioramento ai propri collaboratori in modo continuativo, garantendo l’allineamento sulle attività lavorative e sulle priorità di sviluppo anche in Smart Working.

«L’esigenza di lavorare su questi strumenti è confermata dal 33% delle grandi aziende operanti in Italia che ha già pianificato di rivedere gli strumenti di valutazione delle performance delle persone nel 2022 per favorire una corretta ed efficiente adozione dello Smart Working (fonte: Osservatorio Smart Working, Polimi)», rafforza il Manager.

Come governare questa delicata fase di cambiamento 

La velocità e l’intensità con cui le organizzazioni stanno adottando modelli di organizzazione del lavoro più “agili” caratterizzati da un aumento della flessibilità di luogo e di tempo richiedono anche un ripensamento delle modalità con cui le aziende e i manager si prendono cura dei loro collaboratori e supportano la rapida evoluzione dei comportamenti lavorativi. «In questo caso diventa indispensabile adottare approcci e strumenti di monitoraggio e valutazione dell’impatto delle nuove modalità lavorative basate su Advanced HR Analytics. Di questa tipologia di tool fanno parte tutti quegli strumenti innovativi data analytics che possono fornire informazioni quasi in tempo reale su come evolvono i comportamenti lavorativi delle persone in termini di gestione del tempo, modalità di collaborazione, coordinamento, condivisione delle informazioni ed engagement», ribadisce Emanuele Madini, che ricorda che sono diversi gli stakeholder che trarrebbero vantaggi dall’implementazione e utilizzo di questi tool.

In primis la Direzione HR e IT: i primi avrebbero sotto controllo i rischi di overwork e attrition, anche in ottica di una sempre crescente attenzione ai temi del diritto alla disconnessione e ad approcci di “people care”, i secondi avrebbero una reale consapevolezza di come gli applicativi da loro implementati in azienda vengano realmente utilizzati.

Ma sono un valido supporto anche per i Manager, che sarebbero in grado di intercettare quei “segnali deboli” sullo stato del loro team e sulla gestione delle attività che, senza questi strumenti diagnostici, sarebbe impossibile cogliere in un contesto di flessibilità lavorativa e intervenire di conseguenza.

E poi non si può tralasciare la dimensione delle Persone, che avrebbero a disposizione un “Self Coach”, che fornirebbe loro insight e consigli importanti per guidare l’evoluzione dei comportamenti lavorativi verso approcci orientati all’autonomia e alla responsabilizzazione sui risultati.

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