DE&I

Diversità e inclusione in azienda: costruire nuove abitudini per dare concretezza alla strategia DE&I

Perfezionare continuamente le policy di Diversity, Equity e Inclusion, coinvolgendo tutti gli stakeholder. Ecco il cuore del lavoro che oggi devono fare le organizzazioni, partendo dalla consapevolezza che quello che deve cambiare è l’approccio mentale, in tal senso il coaching aiuta ad andare oltre gli automatismi per superare le discriminazioni e dare valore ai talenti

Pubblicato il 03 Feb 2022

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Diversità, equità e inclusione: sempre più frequentemente oggi si parla di questi aspetti in azienda. Accomunati nella sigla DE&I rispecchiano l’impegno che le aziende prendono per valorizzare le caratteristiche personali, sostenere principi che prevedono un trattamento comune e imparziale e avere cura del benessere dei dipendenti. Il vero tema oggi è comprendere come portare avanti una strategia “vera e concreta” di DE&I” in azienda. Il punto di partenza è puntare su azioni concrete che vanno oltre l’awareness o i corsi di formazione per far sì che l’inclusione diventi il modo di fare comune.

«Comprendere il collegamento tra DE&I e business, riconoscere eventuali problematiche di inclusione per poi passare alle iniziative è un percorso efficace per tutte le aziende», afferma Agnese Bottaro, Enterprise Transformation Consultant di CoachHub.

«Non bastano survey interne e webinar per sensibilizzare. Occorre agire e l’azione richiede costruire delle nuove abitudini», afferma Valeria Cardillo Piccolino, Behavioral Scientist di CoachHub per il mercato sud europeo. «Un valido aiuto può arrivare dal coaching, che è uno strumento trasversale all’interno di un approccio olistico alla DE&I».

La comunicazione: “attivare” i due stakeholder della diversità e inclusione in azienda

Il coaching permette di creare un ambiente inclusivo facendo leva sui due stakeholder, ovvero chi, pur se involontariamente, genera esclusioni e chi si sente escluso. Il coach aiuta queste persone a non auto-escludersi, a rendersi “accountable” e protagoniste. Sull’altro fronte, supporta i manager a compiere una serie di azioni per includere chi ha una diversa “way of working” e a promuovere una cultura della diversity.

«La diversity, altrui e propria, richiede senso di responsabilità», afferma Cardillo Piccolino. «Se penso che nel mio contesto di lavoro non ci sia uguaglianza, tenderò ad assumere il ruolo della vittima, trasformando gli altri in persecutori e cercando salvezza nel manager, nel leader della diversity o nei responsabili dell’HR. Ma così non mi concentro su quello che posso fare io per cambiare. Il coaching aiuta ad assumere un ruolo attivo sviluppando una sana assertività».

Creare in azienda un contesto dove le persone sentono di potersi esprimere in tutta sicurezza è un elemento centrale nelle politiche di Diversità, Equità e Inclusione. «Il coach guida le persone a capire non solo che cosa possono fare per essere ascoltate, ma anche come comunicare con gli altri e affrontare in modo produttivo la propria diversity», afferma Bottaro.

Superare il bias col “pensiero lento”

Il coaching permette alle persone anche di sviluppare la capacità riflessiva e auto-riflessiva, alzando la consapevolezza sui meccanismi “autopilot”, ovvero il pensiero istintivo, basato su esperienze passate, che porta a decisioni veloci e automatiche.

«Il rischio è che le decisioni delegate al pensiero automatico siano poco inclusive», spiega Cardillo Piccolino. «Pensiamo a un leader che conduce un meeting. Lo fa seguendo una sua routine ma, se non presta attenzione, potrebbe perpetuare una cultura non inclusiva se in sala c’è una persona sorda o un introverso. Per creare un contesto psicologicamente sicuro ha bisogno di cambiare prospettiva e far leva sul pensiero lento, su processi decisionali più elaborati».

Un altro esempio può essere una donna che va maternità e, sempre in base a una correlazione automatica, viene esclusa da un progetto strategico. Le abbiamo prima chiesto se è disponibile a incaricarsi di questo compito o abbiamo dato per scontato che voglia defilarsi?

Smart Working e inclusione: come sentirsi parte del team?

L’inclusione delle donne e delle persone con disabilità è una tematica centrale nella DE&I. Ma nel nuovo contesto dell’hybrid work le aziende sono consapevoli di nuove possibili esclusioni.

«Molte organizzazioni si chiedono come possono affrontare la connessione tra DE&I e new ways of working in cui le persone hanno maggiore difficoltà a rapportarsi coi manager, a sentirsi parte del team e a percepire l’apprezzamento per i loro risultati», afferma Bottaro.

Una persona che lavora sempre da remoto potrebbe dubitare del suo valore per l’azienda o temere di essere poco visibile e, quindi, di non riuscire a fare carriera come chi lavora in presenza.

Anche nelle selezioni del personale a volte interviene un bias automatico che ci porta a scegliere persone a noi affini o tutte con una formazione simile. Qui gli strumenti digitali favoriscono l’inclusione.

«Il videocolloquio e gli analytics contribuiscono a correggere queste distorsioni», osserva Bottaro. «Col videorecruiting e alcuni strumenti automatizzati la selezione si allarga e si dà la possibilità a più persone di partecipare, anche a chi ha un background del tutto diverso. Coaching e tecnologia possono rappresentare un’unione vincente».

DE&I, vademecum per le aziende. Focus sul wellbeing

Le discriminazioni in azienda possono essere molteplici e spesso si traducono in dei “vuoti”. Infatti, non solo le aziende potrebbero avere poche donne o disabili nei ruoli direttivi, ma potrebbero anche possedere risorse troppo “simili” tra loro ed essere prive di competenze e punti di vista diversi che sono cruciali per la loro competitività. Non a caso i giganti della Silicon Valley come Google e Facebook cercano attivamente la diversity: vogliono avere giovani e senior, cittadini americani e stranieri, esponenti di culture e di lingue diverse. La diversity significa cervelli che ragionano tutti in modo originale: una moltiplicazione di idee e di capacità innovativa.

Come vincere, dunque, la sfida DE&I? Secondo le due manager di CoachHub ci sono tre passi fondamentali da compiere.

Il primo è la comunicazione: capire quali problemi esistono in azienda ascoltando le persone e risolverli dando voce e un ruolo attivo a tutti.

Il secondo è l’informazione/formazione, per ottenere un più alto livello di attenzione sui bias più comuni. Il terzo è l’azione tramite un approccio che permetta di sviluppare una mentalità flessibile e dia gli strumenti per riuscire a trovare nuove soluzioni quando il contesto cambia.

Chi si deve occupare delle strategie DE&I? Ogni risorsa. La volontà parte dalle figure executive, ma la governance delle politiche di diversità e inclusione appartiene a tutti: all’HR, ai manager e alle singole persone. Un aiuto prezioso arriva dai dipendenti “champion” o “ambassador”, che si fanno paladini dei cambiamenti che correggono le discriminazioni.

«Sui temi DE&I è meno immediato per le aziende cogliere la strategicità e le opportunità di monetizzazione, ma l’esclusione si traduce in una limitazione delle competenze di cui si può disporre e questo ha un impatto sui ricavi», conclude Bottaro.

C’è anche un focus sul wellbeing: «Sentirsi accolti e inclusi è un valore aggiunto», conclude Cardillo Piccolino. «Assumere e trattenere talenti è più facile se le aziende si occupano in modo convinto ed efficace del benessere delle loro persone».

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